Quanta poesia c’è nel mese di Ottobre?
E’ un mese in bilico tra la vita sfrenata e oziosa dell’estate e il decadere imminente di una natura all’apice del suo splendore. Giorni di buio che avanza, momenti che ci spingono tra le braccia di un letargo inevitabile, incalzati dall’ombra di una morte apparente del tutto.
E come si manifesta questo passaggio tra vita e morte? Si palesa tinto delle tonalità del rosso, del giallo e dell’arancione. Colori caldi, vivi, avvolgenti e rassicuranti, che trasformano ogni scorcio in un quadro. Quest’antitesi diventa spunto di riflessione, si fa poesia e filosofia e fa di Ottobre il momento perfetto per parlare del genio di Tim Burton.
Tim Burton regista, poeta, filosofo, un visionario. Nelle sue opere vita e morte si intrecciano e si bilanciano. Danno vita a universi in cui la morte si tinge di colori accesi e brillanti mentre la vita si spegne in bianchi e neri depressi e avvizziti. Il bizzarro invade storie quotidiane portando alla ribalta i diversi e gli emarginati a cui finalmente viene offerta la parola, concedendo loro di dimostrarsi più umani dei normali. Le realtà timburtiane, a un primo sguardo superficiale, sembrano governate dal caos o da un ordine sovvertito. A uno sguardo attento e a una mente mai sazia di risposte appare chiara, invece, l’intenzione di farci riflettere sull’imprevedibilità dell’esistenza, sulle sue contraddizioni. Burton vuole spingerci oltre il velo dell’apparenza, in fondo alle coscienze che come cartine di tornasole dimostrano, che la normalità è relativa e la linearità utopia.
“La Sposa Cadavere“, “Nightmare Before Christmas“, “Big Fish“, “Alice in Wonderland“. Decine sono le opere di Tim Burton ed elencarle tutte ora sarebbe fuori luogo. Ad accomunarle, oltre all’intensità dei messaggi, c’è la musica. Nemmeno la musica è lasciata al caso in Burton! Il più delle volte composte da Danny Elfman, le colonne sonore nelle opere timburtiane fungono da suggello tra poetica e arti visive.
La Spleen Orchestra ripropone tutto questo bagaglio di pensieri, visioni ed emozioni. Progetto musicale (ma anche teatrale) nato ormai 10 anni fa, accoglie al suo interno artisti fortemente legati a Tim Burton. Su e giù dai palchi di tutta Italia sono cresciuti negli anni portando in giro uno spettacolo che non solo si può sentire e vedere, ma che si lascia vivere. Il pubblico della Spleen Orchestra viene accolto come si accolgono amici e parenti a una festa privata. C’è sempre un posto in più, ci si può stringere sempre di più. Soprattutto se altrove ci si sente esclusi, tranquilli! La Spleen Orchestra è qui, tra le righe di questo blog, per darvi il “benvenuto” e farvi sentire a casa.

Isabel: Nel corso della vita gli artisti che ci ispirano sono molteplici. Ma cosa di Tim Burton vi ha spinti a mettere in moto la macchina della Spleen Orchestra, con tutto l’impegno che richiede?
Paolo Agrati: Il riconoscersi in qualcosa che non cambia mai. E cioè l’essere esclusi. Non perché noi siamo particolarmente esclusi, però tutti lo sono stati in qualche modo. Questo è un aspetto fondamentale nelle opere di Burton. Quindi ricomporre gli esclusi sopra e davanti al palco e mantenere viva questa idea, che il mondo è degli esclusi! Questo pensiero ha fatto in modo che il nostro non sia solo uno spettacolo, ma una condivisione di questo aspetto.
I.: Si discute molto circa i progetti tributo. Soprattutto circa il fatto che possano limitare l’espressione del singolo artista. Voi in che modo riuscite a mettere del vostro all’interno di un immaginario così definito e particolare?
Moreno Sguangia Teriaca: Semplicemente restando noi. Siamo noi! Non imitiamo nessuno. Non è un tributo come può essere un tributo ai Queen dove abbiamo un sosia di Freddie Mercury alla voce. Mettiamo in scena uno spettacolo dove portiamo sul palco noi stessi e la nostra visione del personaggio che stiamo interpretando. Io non sono Johnny Depp…e si vede (ride), ma nemmeno voglio esserlo. Certo prendiamo spunto, perché il personaggio è quello, ma copiare no. Non è nemmeno bello da fare!
Paolo: Il tributo vuole essere una riproduzione, una copia esatta. La nostra è una celebrazione!
Sguangia: Un omaggio!
I.: Quindi avete margine per esprimervi!
Emily Van Dark: Abbiamo la fortuna di poter prendere spunto dalle pellicole, dalla musica, dall’estetica. Insomma abbiamo moltissimo materiale da elaborare e rielaborare. I costumi per esempio li abbiamo fatti fare su misura e non hanno un rimando diretto all’opera. Prendono spunto dall’opera, permettono di riconoscere immediatamente di quale film stiamo parlando, ma non sono “quelli“. Già questo da spazio alla creatività. Gli arrangiamenti dei brani sono nostri, quindi per tutto Tim Burton diventa solo ispirazione.
Paolo: Ispirazione per un percorso in divenire! Noi ci siamo approcciati al progetto in modo un po’ naif. Siamo partiti con costumi arrangiati, con un po’ tutto arrangiato. Poi siamo cresciuti, abbiamo alzato il tiro sempre di più e questo desiderio nasce proprio dalla volontà di esprimere anche noi stessi nel personaggio che siamo in quel momento.

I.: “Qui è tutto commestibile. Perfino io lo sono, ma questo si chiama cannibalismo ed è disapprovato dalla società”. Ed ecco il genio timburtiano che pone l’accento sul diverso, stravolgendo le regole. Quanto è importante per voi essere testimoni di filosofie così attuali?
Emily: Importante per due ragioni, direi. La prima è personale. Nel senso che partecipare a uno spettacolo del genere, offre di portare sul palco la propria esperienza personale e la propria idea di diversità. La seconda ragione trova radici nel fatto che, in quanto artisti, abbiamo il compito di trasmettere dei messaggi agli altri. La Spleen diventa importante, perché abbiamo costruito un gruppo di… “disagiati” (ride), che si rivolge ad altri “disagiati” e nel disagio collettivo ci sentiamo tutti a casa. Accettati.
Paolo: Noi teniamo particolarmente a quello che nel rugby è definito “il terzo tempo”. Nel rugby hai un primo e secondo tempo in cui giochi, nel terzo tempo vai al bar! (ride) Ed è il tempo che rende questo sport nobile: prima lotti e poi ti fai una birretta! (ride) Allo stesso modo per noi è fondamentale finire e avere un momento di confronto con persone come noi, il nostro pubblico. La nostra testimonianza non finisce sul palco, ma prosegue anche giù dal palco.
I.: Attorno alla Spleen si sta creando un tessuto di persone che vi segue e che è diventata parte integrante dello show ormai! Come ci si sente ad avere in mano le chiavi di un mondo parallelo in cui sempre più persone chiedono di entrare?
Emily: E’ un’emozione bellissima! Che io ho vissuto soprattutto a teatro. Quando abbiamo presentato lo spettacolo nuovo eravamo a teatro e ci siamo ritrovati circondati da costumisti vecchi e nuovi, la truccatrice, il manager. Mi sono resa conto di quante persone gravitino attorno alla Spleen e in tempi migliori era cosi: ci muovevamo in gruppo e difatti mi son trovata a fare la battuta che “Obama si muove con meno persone!” (ridiamo).
Paolo: Prima che scoppiasse la pandemia abbiamo festeggiato i 10 anni di Spleen Orchestra e per l’occasione abbiamo invitato tutte le persone che hanno partecipato al progetto e ci siam trovati a pensare: “Ma quanta gente ha collaborato con noi?”. Gente che è andata via, ma che ha comunque lasciato un segno come una pennellata su una tela!
Sguangia: Nel tempo siamo diventati una famiglia. Proprio come una famiglia circense! Senza contare il pubblico! Un pubblico storico, che ci segue anche in trasferta. A volte vengono da lontano ed è già la quattordicesima volta che ci vedono. Conoscono lo show meglio di noi ormai! (ride)
I.: I vostri film preferiti di Tim Burton?
Paolo: Per me “Big Fish” .
Sguangia: Anche per me! Come film. Il mio stop motion preferito invece è “Nightmare Before Christmas”.
I.: Se doveste scegliere senza fare distinzione tra film e stop motion?
Sguangia: Così è più difficile….
Emily: Io di solito la butto sulla questione sentimentale, perché il sentimento è l’unico fattore che mi permette di scegliere. Sulla scia del sentimento dico “Nightmare Before Christmas”, anche per una questione d’età, perché ero appena nata quando è uscito…
Paolo: Cosa vorresti dire, scusa? (ridiamo)
Emily: Per me è stato il primo assaggio di questo panorama e ci sono affezionata.
Paolo: Io continuo a dire “Big Fish”. Perché lì, senza la parte di stop motion che è fortissima e caratterizza Burton come novità, fa un passo indietro dal punto di vista estetico. Poi di fatto non lo fa, ma comunque si priva di uno strumento potentissimo. Pur facendo questo passo indietro resta altissimo dal punto di vista del sogno e della poetica.
Sguangia: Mi hai messo il paletto che non volevo! (ridiamo) Per salvarmi io divido sempre i film dagli stop motion. Ma se adesso tu mi dicessi “Dai guardiamo un film!”, anch’io ti direi “Big Fish”, perché è la storia delle storie, è quello che mi emoziona di più.
I.: Il personaggio timburtiano che più vi rappresenta?
Sguangia: Ti direi Jack Skeletron. Io ho il difetto di essere ambizioso nella vita. Poi non riesco a combinare mai niente, ma almeno ci provo! E condivido con lui quella goliardia del fare qualcosa che non sono capace di fare. Fin da bambino! Esempio: voglio fare il giocatore di calcio! Ma non sono capace di palleggiare, di tirare, ma ci provo. Ci provo per anni, faccio i miei danni e ne ho fatti, soprattutto fisici! (ridiamo) Prima faccio e poi me ne pento. Jack è il personaggio perfetto per me!
Emily: Io ammetto di non averci mai pensato. Non ne ho mai scelto uno. Qualche tempo fa avrei detto Edward Mani di Forbice, ma perché ho passato tanto tempo nel periodo scuola e post scuola ad essere l’outsider! Mi vestivo da outsider, facevo le cose che gli altri non volevano fare… A volte questo è successo anche perché ho voluto fare le cose degli altri! Ad esempio io canto in un coro gospel, che è qualcosa che non c’entra nulla con ciò che ci si può aspettare da me. Nelle foto si vedono tutte le persone “normali” che partecipano al coro e poi, io! Non è fonte di disagio per me questo, come è stato per Edward nel film, ma siamo simili. Simili, ma non uguali. Non ho mai pensato a un personaggio di Burton che mi rappresenti appieno.
Paolo: Io nemmeno. Non ho mai fatto un lavoro di identificazione, se non nella poetica. Poetica che poi lo stesso Burton non è che centri sempre. A volte proprio non c’è e si concede solo l’estetica. Così su due piedi potrei dirti… Il gatto che fa le cacche premonitrici! (ridiamo) Come si chiamava?
Emily: Il Signor Baffino!
Paolo: Il Signor Baffino! Lui! Direi lui, perché ho una passione per i personaggi secondari, quelli che vengono messi lì e pensi “Ma da dove salta fuori?” e restano geniali.
I.: “C’è un tempo in ci lottare e un tempo in cui accettare la sconfitta”. Il mondo dell’arte cosa dovrebbe fare ora, dopo due anni così duri e con ancora tanta incertezza all’orizzonte?
Paolo: Secondo me certe cose non possono essere sconfitte. Possono essere annichilite, possono non trovare spazio. Ci sono anche stati periodi peggiori di questo! Periodi in cui la metafora, l’allegoria sono state strumentalizzate, cambiate…
Emily: Anche volutamente distrutte!
Paolo: Per carità, stiamo soffrendo un sacco. Stiamo soffrendo proprio dal punto di visto creativo! Il non interagire ti fa scrivere meno, ti fa riflettere meno.
Emily: Ti limita anche il solo fatto di non sapere quante probabilità si hanno di poter realizzare un progetto! Se prima nel periodo di Halloween e Natale arrivavano da sole delle possibilità di portare in giro lo spettacolo, ora, con l’incertezza, si perde anche un po’ lo stimolo di andare a cercarle da noi.
I.: “Nightmate Before Christmas” o “La sposa Cadavere”?
Emily: Io dico Nightmare…
Sguangia: Dico Nightmare anche io, ma con sofferenza! Perché anche “La Sposa Cadavere” è un capolavoro!
Paolo: Nightmare anche per me!
I.: Il Cappellaio Matto o Sweeney Todd?
Emily: Sweeney Todd…
Paolo: Sì, Sweeney!
Sguangia: Sì, Sweeney Todd, perché è cattivo! (ridiamo)
I.: Gli stop motion o i live action?
Emily: Stop motion!
Sguangia: Stop motion, sì!
Paolo: Anche per me!
I.: “La Fabbrica di Cioccolato” o “Big Fish”?
Emily: (guarda gli altri due) “Big Fish”! Incredibile, siamo tutti d’accordo!

I.: Zero o Sparky?
Emily: C’era la teoria che diceva che Sparky fosse in realtà Zero…
Paolo: Per me Sparky!
Emily: E Briciolo, no?!
I.: Dovevo sceglierne due!
Paolo: E il Signor Baffino allora? (ridiamo)
Sguangia: Eh…Zero!
I.: Ma “Nightmare Before Christmas” lo si guarda ad Halloween o a Natale?
Paolo e Sguangia: Tutte e due! Lo si guarda tutte e due le volte!
Emily: Io una volta ho risposto che lo si guarda ad Halloween con l’albero di Natale e a Natale con le zucche!
I.: Se il mondo dipendesse dalla visione di un film di Tim Burton… quale sarebbe?
Sguangia: Quasi direi Ed Wood… Vi immaginate un mondo così sfigato? (ridiamo)
Paolo: Io non so rispondere a questa domanda. E’ difficilissima! Non saprei davvero cosa dire.
Emily: In effetti è parecchio difficile…
I.: Sai che mi piace mettere un po’ in difficoltà chi intervisto!
Sguangia: La risposta seria per me potrebbe essere “Alice in Wonderland”. Un mondo di matti! Ma non solo. Un mondo con quei colori, con l’idea che oggi sia blu, ma domani sicuramente sarà arancione. Perché del mondo moderno rifuggo la monotonia. La monotonia, i giorni che scorrono tutti uguali sono sicuramente la cosa più brutta. Alice potrebbe indicare la strada per una realtà nuova, priva di routine. E vedi che torna la mia similarità con Jack Skeletron? (ride)
I.: L’esperienza della Spleen Orchestra cosa vi ha insegnato che vi accompagna nel quotidiano?
Emily: Come per tutte le band, dovendo lavorare in gruppo, mi ha trasmesso la pazienza, la tolleranza, la capacità di discutere ogni cosa, perché ogni decisione viene presa insieme. Ho imparato ad ascoltare tanto gli altri. Poi mi ha insegnato come vivere con più libertà il personaggio che interpreto sul palco. Fino a un po’ di tempo fa sentivo stretto il dover interpretare, avvertivo come inopportuni i gesti eccessivi e plateali che sono poi tipici del teatro. Ora ho capito che sul palco c’è il personaggio e i suoi gesti non sono mai fuori luogo.
Sguangia: Nel quotidiano grazie alla Spleen ho imparato a spogliarmi e rivestirmi velocemente! (ridiamo) Dal punto di vista artistico invece la Spleen crea una sorta di dipendenza. Questo perché quando poi ti esibisci in altri contesti non stai interpretando un personaggio. Stai magari proponendo dei tuoi pezzi inediti, quindi sei tu. Solo tu! E non è un problema cantare e interpretare. Il problema è come gestire il palco! Non riesco più a star fermo di fronte a un’asta! Mi muovo, gesticolo, faccio le facce. Sono atteggiamenti che vanno un po’ controllati in contesti diversi, ma se li controlli ti aiutano ad essere più incisivo e comunicativo.
Per saperne di più sulla Spleen Orchestra: https://www.spleenorchestra.com/