“Prima sogno i miei dipinti , poi dipingo i miei sogni”
(V. Van Gogh)
Pianeta Terra, Novembre 2020
Viviamo nell’era dei Social Network, del digitale terrestre, della comunicazione veloce, talmente veloce che arriva prima di noi. #art o #artist ed è fatta! Ecco che un’opera arriva a centinaia di migliaia di persone in un secondo (anche meno). Quelle persone lasceranno poi un commento o un apprezzamento distratto.
“Cosa mangerò per cena?” *like*.
“Devo ritoccare lo smalto” *like*.
“Non mi ha ancora scritto” *like*.
Poi ci sarà chi, più attento o interessato, comprerà e promuoverà il nostro prodotto. Esatto, un prodotto. Condividiamo per vendere, apprezziamo per comprare, dimenticando qualcosa di fondamentale: l’arte è un pezzo di anima di chi la crea. L’arte è per l’artista un sentimento, uno spaccato di vita, un ricordo, una preghiera …un sogno. Non abbiamo tra le mani una tela, un disco, un gioiello. Tra le mani stringiamo un frammento di anima. Attraverso quel frammento abbiamo l’occasione di conoscere meglio un individuo, entriamo nella sua sfera privata. Impariamo ad apprezzarne le parole, i gesti, le potenzialità e allo stesso tempo ne accogliamo la sua stessa esistenza: dal talento alla vita.
Veniamo quindi a Wes Plague. Wes, artista, si mostra attraverso le sue esibizioni. Ha una voce straordinaria, potente e trasparente come acqua, capace all’occasione di scurirsi e raccontare di una profonda sofferenza e di un percorso lungo una vita. Perché la canzone che sta eseguendo lo impone? No. Perché il cammino di cui parla è un cammino che Wes ha intrapreso in prima persona. Con il makeup poi è in grado di fare magie! Puro trasformismo. Presenta ogni volta una creatura diversa. Principalmente sono creature grottesche, inquietanti, degne del più oscuro personaggio in un film di Tim Burton (scelto mica a caso n.d.a). Attraverso la voce e con il supporto del trucco, ogni volta che Wes Plague si esibisce è in grado di fermare il tempo e parlare direttamente al nostro IO. Wes sparisce, a malapena si intravede e ciò che arriva è solo la sua essenza, senza un volto preciso, senza una forma stabilita, senza un genere. Non è un artista che vende il suo prodotto ciò che abbiamo di fronte: è il suo spirito. Messi di fronte al messaggio di Wes, alla sua filosofia di vita, ai suoi principi, ne conosciamo il cuore e ne apprezziamo non solo la sua esibizione, ma la sua sussistenza. A questo punto conosciamo tutto ciò che realmente conta. Vi ho convinti? Sentite di essere già fans di Wes?
Ops! Mi sono appena resa conto di non avervi dato nessuna indicazione di genere su Wes: è un lui, è una lei? Ma stavamo discutendo di arte e anima, ha davvero importanza il genere?

Isabel: Ho visto che nonostante le difficoltà dovute alla pandemia, che ricordiamo sta colpendo maggiormente tutte quelle categorie che lavorano nel settore dello spettacolo e dell’intrattenimento, le tue esibizioni sono proseguite tramite un’interessante iniziativa.
Wes Plague: Sì, l’iniziativa è partita da alcuni artisti legati a un locale dove vado spesso, il Toilet Club. Artisti che peraltro io stimo molto, perché si muovono in un ambito che va molto oltre al concetto classico e anni ’80 di “drag”, un concetto che è prima tornato in auge negli ultimi anni e che ora sembra stia lentamente scemando. Quindi restano delle esibizioni giocate sull’identità sessuale e di genere, ma che coinvolgono un po’ tutti i talenti. Le esibizioni si sono svolte utilizzando Twitch. Sono state delle esibizioni registrate quindi, ma molto elaborate! Ci sono stati artisti che hanno realizzato dei video molto, molto belli, super professionali. E’ stata un’esperienza senza dubbio formante, perché molto lontana dalla classica esibizione drag dal vivo, dove hai il pubblico di fronte. Tramite il video abbiamo tutti avuto la possibilità di esprimerci di più, inserendo elementi che live non sarebbero possibili, come più cambi d’abito per esempio!
Isa: Le registrazioni sono recuperabili per chi magari volesse vederle?
Wes Plague: Le mie purtroppo non ancora! Non le ho postate su nessun mio canale, ma provvederò presto! (ride) Altre esibizioni sono invece assolutamente reperibili. Se volete seguire su Instagram il profilo E-Drag (e_drag_milano n.d.a), lì ne trovate molte e valgono tutte la pena.
Isa: Wes Plague ha un alter ego, Emily Van Dark (ridiamo), che è cantante della The Spleen Orchestra. E anche la Spleen Orchestra non si è lasciata intimorire dal blocco causa Covid, ma ha ideato una serie di appuntamenti sotto il nome di “Burtonesque Talks” , per far sentire la propria presenza ai fans. Com’è nata l’idea di queste dirette Instagram?
Wes Plague: In realtà sono stata coinvolta a progetto già nato. L’idea è venuta nel momento in cui ci siamo resi conto, che dovevamo trovare un modo per tenerci attivi al di fuori delle nostre esibizioni. Cosa molto strana, perché l’intera esistenza della Spleen Orchestra si basa sulle esibizioni live. Volevamo stare accanto al nostro pubblico nonostante tutto, ma dal vivo non si può suonare, suonare ciascuno da casa propria è di difficile organizzazione e quindi siamo arrivati a ideare “Burtonesque Talks”. Si tratta di una serie di interviste fatte ad artisti di diverso genere, che però sono legati, come noi, a Tim Burton. Ciò che abbiamo raggiunto è la possibilità di portare la Spleen Orchestra ad essere conosciuta fuori dal nostro solito giro, ma anche portare il nostro pubblico a conoscere l’ispirazione al genio di Tim Burton anche in altri settori artistici, che non siano quello che ci compete e cioè il campo musicale.
Isa: Dopo queste prime domande di rito vorrei passare a scavare più in profondità, cercando di presentare meglio Wes Plague. Abbiamo fatto intuire ai nostri lettori che Wes ha a che fare con il mondo drag, ma non lo è. Wes Plague si muove all’interno della sfera “queer” dell’ambiente. Non tutti ne conoscono le differenze, quindi ti chiedo: qual è la differenza tra “drag” e “queer”?
Wes Plague: E’ una differenza molto semplice in realtà! “Queer” è una definizione ascrivibile a tutto ciò che va fuori dal binarismo di genere. Io sono “non-binary“, cioè non mi sento né uomo, né donna e il mio personaggio, Wes Plague, agisce in questa situazione non essendo né l’uno, né l’altra. Però puoi essere “queer” senza essere artista, infatti io uso l’espressione “queer artist“. “Drag” invece è legato all’arte: se sei “Drag” sei un artista. E metti la tua arte a disposizione dell’espressione della diversità. Negli anni ’80 poi, il termine si è legato ad artisti che si esibivano mostrandosi all’opposto del loro genere: uomini che si vestono da donne e donne che si vestono da uomini. Questo confine si è trasformato diventando più una sottilissima linea, facilmente valicabile. Ora l’ambiente drag è molto più inclusivo, molto più complesso e dalle mille sfaccettature. E’ aperto non solo a uomini che interpretano personaggi femminili e viceversa, ma anche ad artisti che giocano molto con la propria identità, creando personaggi che mischiano caratteristiche maschili e femminili in un modo totalmente personale e creativo. Inoltre il mondo drag si è allargato ad ogni campo artistico: musica, danza, trucco e design di costumi, teatro e via dicendo.

Isa: I makeup pesanti e gli outfits appariscenti diventano, nel mondo queer e drag, estrema espressione della personalità e anche della bellezza interiore di chi li indossa. Tu come elabori la tua personalità queer?
Wes Plague: Il percorso per elaborare un’immagine di sé è molto lungo. Almeno, per me lo è stato e lo è ancora. Sono ancora in fase di elaborazione. Ho provato a non limitare la mia ispirazione. Non ho selezionato un personaggio a cui ispirarmi e ho dato vita a Wes concentrandomi solo su quell’unica fonte. Il rischio sarebbe stato, in caso di insuccesso, di sentirmi incapace ed è una sensazione demotivante. Ho provato a chiudere gli occhi, a sentirmi e ho fatto dei tentativi. Tentativi a cui poi aggiungevo per modificare e per migliorare. Ovviamente il risultato appare poi derivato da qualcosa o da qualcuno che ti ha accesso un’idea e risulta che tu ti sia “ispirato a”, ma non ho voluto farlo intenzionalmente. L’ambientazione in cui Wes Plague si muove è sempre quella post apocalittica. La cosa, mi è stato fatto notare, si lega al tema della perdita. Perdita della vita: infatti Wes ha sempre un viso pallido, cadaverico… E perdita del mondo come lo conosciamo, in quanto post Apocalisse. E quest’ultimo è un tema che mi riguarda da vicino, perché ho sempre molta ansia rispetto al futuro, a cosa accadrà eccetera eccetera…
Isa: Le realtà drag e transgender sono quelle che più di tutto vengono colpite da critiche, soprattutto durante eventi quali il pride. Vengono percepite come eccesso, come fuori luogo, come un’esagerazione non utile a manifestare il proprio dritto all’esistenza. Ma cosa rivela in realtà questo “eccesso”?
Wes Plague: Una domanda simile me la fece mia nonna! Lei sa che frequento ambienti dove drag, transgender e omosessualità sono all’ordine del giorno. Preoccupata per me, il suo dubbio era che l’eccesso, potesse precludere la possibilità al mio diritto di esistere come desidero, di venire accettato. La mia risposta fu semplice: la feci ragionare sulla frustrazione che può vivere quotidianamente una persona che, senza toccare la sfera sessuale, ha dei gusti fuori dal comune ad esempio in campo di abbigliamento. E’ risaputo, no? Se ti vesti in modo eccentrico non puoi lavorare in un ambiente più classico, se metti lo smalto scuro sei visto male per certi lavori, se hai i capelli troppo corti, o troppo lunghi… E cosa succede? Quando finalmente esci e sei in un ambiente dove il tuo gusto viene accettato: lo esterni. E a volte lo esageri! Esplodi. Al pride o nei cosiddetti “locali gay” accade la stessa cosa. Vivi ogni giorno bloccato, quando finalmente sei libero. E più vivi male i pregiudizi e i giudizi e più aumenterai il “tono di voce”, per provocare, per scaricare la tensione. Se certi individui non vivessero sacrificati, forse non sentirebbero l’esigenza di eccedere.
Isa: Tutto gira intorno all’accettazione. Partendo dall’accettazione di se stessi. L’accettazione per il proprio corpo è un processo lunghissimo e difficile già quando si è … socialmente “normali”, non oso immaginare quanto difficile possa essere per chi si guarda allo specchio e non vede ciò che “sente di essere”. Hai voglia di parlarci del tuo percorso? Quand’è che finalmente lo specchio ti ha rimandato ciò che sentivi?
Wes Plague: Il mio percorso è iniziato al liceo, perché quello è il periodo dove inizi a vestirti come vuoi e a fare cavolate, coi genitori che se lo aspettano. Fanno sempre la parte di quelli stupiti, ma in realtà lo sanno benissimo, tant’è che quando hai colpi di testa a 30 anni ti dicono “Com’è che non lo hai fatto prima?” (ride). A 14 anni mi vestivo da maschio. Indossavo magliette dei gruppi, pantaloni larghi e borchie in stile emo. Cantavo in una band heavy metal, facevo scream … Poi cos’è accaduto?… E’ accaduto, che avevo già fatto coming out come bisessuale a 13 anni e mi interessavo sia ai ragazzi che alle ragazze, ma per entrambi ero troppo “maschiaccio”. Ho pensato pertanto che la cosa non andasse bene e dovessi cambiare. Ho puntato allora tutto sulla mia femminilità. Non perché volessi a tutti costi l’attenzione di qualcuno, ma perché ho iniziato a percepire il maschile dentro di me, come sbagliato. Quello è stato il periodo in cui ti ho conosciuta tra l’altro! (ride) Ricordi? Ho fatto crescere i capelli, ho iniziato a interessarmi al makeup, indossavo le gonne e quando ho visto la prima risposta positiva da parte degli altri, ho portato tutto all’estremo. Ho iniziato a interessarmi alla moda anni 50 e mi infilavo in questi vestiti estremamente femminili, che non mi piacevano e non mi davano l’idea di starmi bene, ma che attiravano l’attenzione. Ho fatto così l’errore di pensare che quella fosse la strada giusta. Col tempo però la mia insofferenza è cresciuta. Perché mi stavo facendo violenza a vestirmi da pin up, quando provavo solo un forte senso di scomodità e disagio? Ho smesso. Ora non dico di aver fatto dietrofront e aver ripreso a vestirmi da maschio, ma certamente di femminile è rimasto ben poco. Ho anche cercato di nascondere tante cose del mio fisico che non mi piacciono, in primis il seno, che in futuro vorrei ridurre o togliere del tutto. E’ un percorso davvero lungo come vedi! Ma il mondo queer mi ha aperto molte più possibilità sulla base del “CHISSENEFREGA!”. Puoi presentarti in un locale indossando un pigiama e ti diranno “Wow!” e a quel punto capisci, che qualunque cosa tu senta, chiunque tu ti senta va bene.
Isa: Allora ti faccio l’ultima domanda: La diversità è bellezza?
Wes Plague: E’ un po’ controversa come affermazione, perché usare il termine “diversità” implica che ci sia una normalità, che a me non torna come cosa. Ognuno è normale a modo suo. Quello che è normale per te, non lo è per me . Allo stesso tempo se relazioni tutto alla società in cui si vive, sì la diversità c’è. Ma non mi piace che venga usata con accezione negativa. Se invece il termine viene usato, per darmi modo di esprimere la mia bellezza personale, il mio gusto personale, dove trova spazio tutto ciò che non viene preso in considerazione dalla massa, allora sì il diverso esiste ed è bello. Un po’ sì e un po’ no… Come me. Sempre nel mezzo (ride).

Splendida intervista, complimenti! 🙂
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Grazie mille! 🙂
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Grazie a te per la risposta! Colgo l’occasione per consigliarti questo indimenticabile film: https://wwayne.wordpress.com/2020/11/01/bella-e-maledetta-2/. L’hai già visto?
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