Speed Stroke: purché sia vero

“Quello degli Speed Stroke è un riuscito e modernissimo rock’n’roll “made in Italy”. Ma nonostante i ragazzi  siano perfettamente inseriti in questo “guazzabuglio” moderno che è il 2016, nascondono nella carica della loro musica e nella loro genuina vivacità, qualcosa di vecchio, di “old school”, che appartiene al rock e che lo distingue dai restanti generi musicali dal momento della sua nascita …”           ( Isabel Le Singe) 

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Speed Stroke  (photo by Veronica Anacleti)

 

“While around me the world freaks out
I tell you what this fight is all about”.  

                                (From Scars to Stars - Speed Stroke)

L’indecente e il proibito, l’eccesso e l’inconfessabile, ma anche molto altro ancora: tante cose non dette a voce alta e tenute strette tra i denti, perché scomode, perché contro la morale e il buon costume , così come tante voci, che , più alte, serpeggiavano di casa in casa, di strada in strada dal più piccolo dei sobborghi fino alla metropoli…

Quando Elvis intonò la prima nota e mosse per la prima volta il bacino di fronte al pubblico dell’Ed Sullivan Show , infranse il muro di omertà dietro cui si era trincerata la società patinata e perbenista degli anni ’50 , rendendo impossibile, da quel momento in poi, nascondere sotto i tappeti o tra i panni sporchi di casa propria una visione alternativa, spesso pessimistica, della realtà: quella dei giovani.

Frustrati, scontenti, annoiati, arrabbiati, dopo che “Il Re”, come Pandora, scoperchiò il vaso degli obblighi e delle proibizioni in cui eravamo stati rinchiusi, nascosti e soffocati, potemmo, sulle note di un infiammato rock’n’roll, uscire allo scoperto e parlare, cantare, urlare, esprimerci e cercare, fino a trovarla, un’identità.

“Another brand new record
ain’t exactly what you need.
We know it’s hard for you to realize 
Speed are still here” 
                        (1More1 - Speed Stroke)

Così tutte quelle verità risapute, ma taciute, emersero in uno stream of consciousness ormai libero e fluido e potemmo chiedere lo scotto per tutte le falle nei piani dei politici, per gli insegnamenti sbagliati dei genitori, per i limiti e l’ottusità dell’istruzione e delle altre istituzioni. C’è chi si riscoprì uomo, chi finalmente si sentì donna, i bianchi incontrarono i neri, alcuni chiesero la pace, altri l’anarchia.

Il rock’n’roll divenne musica popolare, perché dal popolo era suonato e del popolo cantava, della società, del desiderio di libertà, della miseria, dell’abbandono, della speranza. Il rock’n’roll si fece contemporaneamente modo di vivere, una filosofia alla stregua di quella buddista, perché era la vita stessa.

Da “Jailhouse Rock” a “Hurricane”, “Purple Haze” come “Light my fire” e perfino “Anarchy in the UK” o “Jump” . In questi brani altro non troverete che la storia, dei loro compositori, ma anche e soprattutto del tempo e del luogo in cui furono scritti.

E adesso?

“Don’t you see?
I’m just enjoying life
Proud to be
Just a dirty sin” 
                   (Believe in me - Speed Stroke)

C’è chi dice che il rock sia morto, finito. Forse perché nell’era di internet, del virtuale, della globalizzazione, i giovani sono stati nuovamente azzittiti, segregati in una schermata di home di un social network in cui le voci si sono fatte pensieri sparsi, confusi e il cui volume è stato azzerato.

Eppure lì fuori la vita continua incessante a fare il suo corso, tangibile, concreta, spesso cruda e ha poco a che fare con degli algoritmi. I mostri sacri del rock, quelli rimasti, continuano a riempire gli stadi. E chi gira per piccoli locali di provincia, ancora libero, inneggiando alla rivoluzione, sperando in un futuro migliore e nella vita, vissuta in ogni suo attimo, può raccontare di giovani che ancora hanno di cosa parlare, che ancora suonano e cantano. C’è perfino chi si scandalizza, chi tenta di remare contro, chi li incita e a loro si arrende e si fa trascinare.

Il rock non è morto quindi, per chi sogna e si sente vivo e di vita vera vuol sentire parlare. Per quanti anche oggi vogliono farsi sentire e sentirsi liberi sputando parole e saliva sotto a un palco, sulle note di strumenti elettrici alzati al massimo, ci sono ancora giovani e tra questi gli Speed Stroke.

“Don’t wanna have much time
Things gonna get right as long as I sing to death”
                                (Break Your Bones - Speed Stroke) 

 

Isabel : Speed Stroke. Un progetto nato più o meno 6 anni fa, con una storia comune a quella di molte altre band: nati dalle ceneri di bands precedentemente esistenti, avete subito vari cambi di formazione … E ora siete al vostro secondo album, uscito a Marzo 2016, “Fury”. Tramite la nostra pagina Facebook avevo già avuto modo di esprimermi sul primo singolo estratto dall’album, “Demon Alcohol”, con un giudizio che posso tranquillamente estendere all’album nella sua interezza. Vi avevo lodati per essere riusciti a incanalare nella musica la rabbia, l’ energia e il vostro desiderio di riuscire , arrivando così a ottenere un album molto maturo e decisivo per la vostra carriera da qui in avanti. 

Jack : Ti ringrazio per i complimenti innanzitutto e … Sì! Abbiamo provato a dare una sterzata, una svolta al nostro lavoro. Abbiamo voluto diventare più incisivi, più decisi , cattivi a volte. E sono contento che sia chiaro ascoltando l’album.

D.B. : Lo stesso titolo , “Fury”, è stato scelto di proposito dopo aver composto i pezzi per dare un’idea chiara di cosa l’album contiene.

I. : E direi che aprire a uno show, segreto, degli Hardcore Superstar … 

D.B. : … è stata una bella esperienza!

I. : E penso anche che sia arrivato un po’ come un premio per il buon lavoro fatto o no? 

J. : Dunque, qui entro in gioco io, perché sono stato io direttamente a seguire la cosa e , lo ammetto, inizialmente non avremmo dovuto suonare a quello show! E’ successo tutto per caso. Contattati io il locale ( il Paunchy Cats Inn Bar N.d.r ) ,  perché mi piace un sacco e desideravo suonarci da tempo e dopo che in Germania hanno censurato e bloccato il nostro video, scrissi al responsabile del locale per farglielo vedere e fargli capire chi fossero gli Speed Stroke in realtà. Gli piacemmo e mi disse che aveva in mente uno show a cui farci partecipare e, credimi, si sarebbe trattato di uno show fighissimo per noi! Sarebbe stata la serata della mia vita… Avremmo dovuto aprire per la data tedesca degli L.A. Guns con i Crazy Lixx e , solo per quella sera, si sarebbero riuniti i Babylon Bombs, che noi adoriamo!

D.B. : Forse l’unica che band che piace a tutti i componenti degli Speed Stroke!

J. : Giusto! L’unica band che condividiamo e ci ha influenzati tutti. Quindi puoi capire quanto saremmo stati felici. Solo che gli L.A. Guns alla fine non hanno fatto nessuna data in Germania e il gestore del locale ci scrisse per annullare tutto. Ma aveva già in mente un altro show per cui farci aprire e ci disse “Guardate, verrà qui un’altra band che di sicuro conoscete, per uno show segreto. Vi mando la locandina e guardate un po’ cosa riuscite a capire…” . Appena vedemmo le grafiche col gatto disegnato secondo le nuove grafiche degli HCSS, capimmo subito. E tutto questo un mese, un mese e mezzo prima della data.

D.B. : La cosa bella è che è stata una data organizzata bene, fatta bene. Gli Hardcore Superstar sono stati socievolissimi , c’era davvero una bella atmosfera. Per di più gli Hardcore erano arrivati in aereo, senza strumentazione quindi e ci chiesero se avremmo potuto prestargli la nostra. Da lì è nata … un’amicizia per una sera? Chiamiamola così!

I. : E cosa ne pensano gli HCSS degli Speed Stroke? Siete riusciti ad avere un feedback da loro?

D.B. : Gli siam piaciuti…

J. : Sì, siam piaciuti! Ci han fatto i complimenti per il suono delle chitarre… Siamo rimasti in contatto. Avevamo già suonato con loro precedentemente al Rock Planet di Pinarella di Cervia, ma durante quella data loro erano veramente stanchi. Erano alla fine di una serie di date ed erano distrutti. In questa data in Germania erano molto più riposati, presi bene!

D.B.: Credo sia stata per loro più una data per divertirsi, che non per lavoro e si sono dimostrati più disponibili!

J. : Divertimento per tutti. Per loro e soprattutto per noi! E quando ci hanno chiesto del nostro nuovo album… Gli ho lanciato dietro copie di “Fury” a mo’ di fresbee (ride) “Ehy, ti serve un sottobicchiere? Tieni! Una copia di “Fury”! (ride)

D.B.: (ridendo) Sì… diciamo che abbiamo cercato di gettare le basi per tenerci in contatto e chissà questo a cosa potrà portare. Speriamo in una collaborazione, magari!

I. : Essere richiamati per qualche data…

D.B.: Esatto! Chissà, davvero…

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Speed Stroke live @ Russi (RA) (ph. Veronica Anacleti)

I. : Parlavamo prima del sound di “Fury” . E’ un album dal sound pieno, corposo, deciso. Per nulla grezzo, a parte per “Break your Bones”, che è più “old school” rispetto al resto. Nel complesso stiamo parlando di un sound moderno, paragonabile a quello di altre bands,  straniere soprattutto, che ultimamente vanno per la maggiore come, appunto, gli Hardcore Superstar. Sono stati loro per primi ad abituarci a questa modernità e pienezza del suono. Quanto di questo risultato è stata una decisione presa a tavolino per rendervi più appetibili e quanto è stato un percorso inconscio, spontaneo, maturato per tentativi e sentimento?

D.B. : Spontaneo! Totale spontaneità!

J. : Guarda, il mix lo ha curato lui, quindi gli lascio la parola.

D.B. : Siamo arrivati a questo sound per un lavoro comune, ciascuno di noi ha messo il proprio. Le proprie influenze, il proprio gusto. Mentre il disco precedente è stato curato solo da alcuni componenti della band ponendo l’attenzione magari solo su alcuni strumenti più che su altri, stavolta ciascuno di noi ha potuto dire la propria e lasciare la propria impronta.

J. : Anche perchè il precedente album è stato costruito su pezzi già esistenti, provenienti dalle nostre esperienze passate, mentre “Fury” è nato da zero! Da noi, come siamo ora.

D.B. : Esatto. Quindi ciascuno di noi ha portato qualcosa, perché ascoltiamo cose diverse e abbiamo gusti diversi, che insieme hanno dato vita al sound attuale. Non ci siamo trovati e abbiamo deciso di fare una band hard rock, che suonasse come qualcosa di già esistente. Ci siam messi a suonare e abbiamo suonato ciascuno ciò che sente e insieme abbiamo dato vita a “Fury”. La furia dei pezzi è fuoriuscita dalla scrittura comune e la pulizia del suono l’abbiamo data in fase di mixaggio , perché ci piaceva, la sentivamo nostra.

J. : Abbiamo composto e curato un album che piacesse a noi! Come avremmo voluto sentirlo noi, senza pensare “Andrà bene così?” o “Questa band ha venduto 7 miliardi di copie…suoniamo così!”. No. Abbiamo usato la strumentazione che avevamo e abbiamo seguito il gusto degli Speed Stroke, come singoli e come gruppo.

I. : In una recente intervista, mentre stavate cercando di dare una definizione al vostro genere musicale, avete preso le distanze da ciò che, probabilmente, eravate agli inizi delle vostre carriere musicali e cioè, parole vostre “dei ragazzini festaioli”. Di contro, come primo singolo estratto dal nuovo album, abbiamo “Demon Alcohol” , che rappresenta la tappa obbligata di ogni rock band:un inno a uno dei componenti della mitica triade “Sesso, droga & Rock’Roll”, lo slogan di molti “ragazzini festaioli”. Dal momento che voi per primi vi vedete cresciuti, vi chiedo: Nel 2016 ha ancora senso cantare di “Sesso, droga & Rock’Roll”?

I. : Ah! Ce l’ho, ce l’ho! Partiamo dal principio con un aneddoto legato alla scrittura del pezzo: quando ho pensato”Demon Alcohol” , ho pensato al pezzo omonimo di Ozzy Osbourne! Dove però lui tratta dei suoi problemi con l’alcol, perchè l’alcol può effettivamente essere un problema. Tuttavia , avendolo sempre usato con la testa, per me l’alcol è sempre stata la soluzione! Perché è in grado di sbloccarti, di scioglierti. Toglie i freni che in uno stato normale avresti, aiutandoti a esprimerti al meglio. Ma c’è di più ! L’alcol nel 2016 è tornato a essere un tabù. L’idea che un gruppo di ragazzi possa decidere di far festa il sabato sera, bere, anche più del dovuto e fare un po’ di casino, magari anche qualche figura di merda e poi riderci su, è diventato un problema. Si viene giudicati, condannati se lo si fa. Ancora nel 2016… E ci sono anche delle bands, dei rockers che lo condannano! Come se non lo avessero mai fatto.

D.B. : Lo condannano e poi ne parlano nelle loro canzoni. Ed è qui secondo me che sta la cosa sbagliata! Il problema non è se abbia senso o meno la vita “Sesso, droga & Rock’n’Roll”, il problema è : che senso ha parlare nelle canzoni di cose che non sai nemmeno cosa siano? Se noi abbiamo scritto “Demon Alcohol” è perchè è reale nel bene o nel male. Tutte le nostre canzoni parlano di avvenimenti reali, sono autobiografiche.

I. : Quindi il rock e lo stile di vita ad esso associato fanno ancora scandalo nel 2016? E possono ancora far leva su questi argomenti , ancora scomodi?

D.B.: Assolutamente sì! Certo ti verrebbe da pensare “Siamo nel 2016 e stiamo ancora qui a parlare di “Sesso, droga & Rock’n’Roll”? Che palle e invece…

J. : Certo! Nel 2016 non ci siamo evoluti. Suoni con la bandana? Sei uno sfigato. Passi ogni notte con una donna diversa? Stanno a giudicarti, perché non va bene. Bevi qualcosa con gli amici e non va bene. “Sesso, droga & Rock’n’Roll” fa ancora scandalo. Si viene ancora giudicati per questo. E quindi ha senso parlarne se questo è ciò che sei.

I. : Quindi purché sia vero, tutto è ancora possibile. Ed entriamo allora in uno dei vostri testi, in uno dei tanti spaccati di vita che raccontate. ” City Lights” . Vi dico cosa ci ho visto io e mi dite se ci ho preso. Da un lato penso che “City Lights” sia una canzone su ciò che spesso dimentichiamo. Su tutto ciò che, presi dalla vita quotidiana, ci perdiamo, dandolo per scontato o pensando che nemmeno possa esistere, perché oltre agli impegni e alla routine non percepiamo null’altro. E dall’altro lato, di conseguenza, “City Lights” diventa la canzone della consapevolezza. Quella consapevolezza che arriva all’improvviso, quando riusciamo a guardarci intorno con occhi diversi, notando qualcosa che fino a 2 secondi prima non pensavamo potesse essere lì. Giusto?

J. : Giusto. Consapevolezza. E consapevolezza soprattutto di se stessi. C’è una frase chiave del pezzo, la frase prima dell’attacco che dice: “Ieri pensavo di essere invincibile, ma oggi mi rendo conto di essere stato solo un cinico”. “City Lights” è nata dopo un periodo in cui avevo perso rispetto per chiunque e per qualsiasi cosa. Mi ero isolato, mi sono costruito intorno dei muri, non provavo più nulla e per questo mi credevo intoccabile, potente. Invece no… Invece poi qualcuno riesce a raggiungerti e ti fa capire, che non c’è nessun potere nel chiudersi e che c’è tutto un mondo fuori.

D.B. : Tra l’altro inserire o meno questo pezzo è stato in dubbio fino alla fine! Dopo dei pezzi forti, spinti, non eravamo molto convinti di inserire una ballad nell’album. Ma in chiusura abbiamo concordato, che non possiamo, appunto, essere solo duri, cattivi. Jack ha scritto quel testo, perché lo ha vissuto, lo ha provato e allora era giusto anche mostrarsi più fragili.

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Speed Stroke live @Midian Live Pub (ph. Veronica Anacleti) 

I. : Fragili e non solo… Perché in “Fury” possiamo vedere degli Speed Stroke energici, irriverenti, acidi e aggressivi, senza peli sulla lingua. A volte anche disillusi. Poi ci sono gli Speed Stroke che ” in a kiss I found myself” … E’ una frase breve, ma di un romanticismo estremo. Nella vita di tutti i giorni non è facile trovare uomini capaci di ammettere una cosa simile. Gli uomini per natura sono più chiusi quando si tratta di parlare d’amore e dichiararsi. Invece qui abbiamo un’ammissione forte e anche pubblica! Accessibile a chiunque ascolti il pezzo. Da uomini e da rockers, soprattutto, come ci si sente a scrivere e cantare dei propri sentimenti così?

D.B. : Uomini o rockers, non fa differenza. Forse è più difficile scriverlo che cantarlo. Cantarlo è un attimo! Ma scriverlo… mentre lo scrivi pensi  “Dirò questa cosa. Farò un album in cui ammetterò questo sentimento”. E sono convinto che si è molto più forti a dichiararsi così apertamente e pubblicamente, che non a parlare di “Sesso, droga & Rock’n’Roll” di cui parlavamo prima.

I. : Quali sono invece le cicatrici che ti portano alle stelle?

J. : (rivolto a D.B.) Le cicatrici che portano alle stelle … forse tu e gli altri ne avete subite di più… (torna a rivolgersi a me) Sono tante. Sono tutte le volte che vedi bands meno capaci della tua andare avanti mentre tu resti fermo, sono tutti i no che ricevi, la fatica che si fa a riuscire, a far capire la tua musica. Sono tutte le volte che ti scoraggi mentre vedi gruppi, anche i più affermati, che si sciolgono e dentro perdi la forza di continuare. Si resta segnati quando cominci a chiederti se ne valga la pena, se la tua vita può sul serio girare intorno alla musica e solo su questa. Diciamocelo : nel 2016 la vera forza ce l’ha chi non cede e va avanti a suonare. Perché è bello suonare! Si dovrebbe suonare per questo, non tanto per i riconoscimenti. Certo essere premiati per il proprio lavoro è bellissimo, ma prima dovrebbe esserci il piacere di suonare, divertirsi a farlo anche in un locale piccolo e sconosciuto.

I. : “from Scars to Stars” quindi è qualcosa che avete vissuto o anche una speranza per il futuro?

D.B. . Entrambe, assolutamente entrambe!

J. : Entrambe. “From Scars to Stars” può essere la mia storia, che mentre suonavo con la mia band precedente adoravo il lavoro di D.B. e degli altri e ora eccomi qui a essere il loro cantante, quando anni fa non ci speravo nemmeno!

D.B. : In realtà, ho dovuto chiedertelo più volte di suonare con noi!

J. : (ride) Perché credevo nella mia band e non volevo lasciarla …

D.B.: E fu un motivo in più per noi di pensare che Jack fosse la persona giusta per essere il frontman degli Speed Stroke …

J. : … e ora gli Speed Stroke hanno suonato con gli Hardcore Superstar, con gli Steel Panther … E “From Scars to Stars” è anche un appello. Un appello mio, personale, per le bands lì fuori: Vi prego ragazzi, non scioglietevi! Continuate a provare, continuate a suonare! Ritrovate la gioia di suonare per stare insieme alle vostra band e alle persone che vengono a vedervi e il resto … il resto arriverà.

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